domenica 8 settembre 2013

Organizzazione del Sistema Nervoso Centrale

Il sistema nervoso centrale è costituito da tutte le strutture che sono contenute all’interno del cranio e del canale vertebrale: encefalo e midollo spinale, rispettivamente. Partendo dal basso troviamo il midollo spinale che si collega con il diencefalo attraverso il tronco encefalico, costituito a sua volta da midollo allungato, ponte e mesencefalo. Sopra al diencefalo si posiziona il telencefalo, mentre il cervelletto si trova dietro al tronco encefalico. 

Il midollo spinale è contenuto all’interno del canale vertebrale. Oltre ad avere il compito di stabilire una comunicazione tra la periferia e il centro, questa struttura è anche adibita all’instaurarsi dei circuiti riflessi necessari per avere una risposta immediata a stimoli potenzialmente dannosi per l’organismo. Il midollo spinale è costituito dalla sostanza grigia, centralmente, e dalla sostanza bianca, in periferia. La sostanza grigia ospita i corpi dei neuroni mentre la sostanza bianca è formata da fasci di fibre mieliniche. Il neurone è, infatti, una cellula costituita da un corpo, all’interno del quale è presente il nucleo, dai dendriti, cioè prolungamenti che ricevono informazioni da altri neuroni, e da un assone, che invia o riceve segnali, in genere avvolto da una guaina mielinica
Per encefalo si intende l’insieme delle strutture presenti nella scatola cranica. La prima formazione che troviamo, partendo dal basso, è il tronco encefalico costituito dal midollo allungato (anche detto bulbo), così chiamato perché rappresenta la continuazione del midollo spinale, dal ponte, così detto per le sue fibre che si dispongono in modo trasversale, e dal mesencefalo, data la sua posizione centrale. A differenza del midollo spinale, qui la suddivisione tra sostanza grigia e bianca non è così netta. Sono presenti diversi nuclei di sostanza grigia che svolgono funzioni diverse, sia di integrazione che di comunicazione. Il tronco encefalico è la sede di importanti funzioni organiche, quali la respirazione, la circolazione sanguigna e il sonno. 
Dietro al tronco encefalico si collega attraverso tre peduncoli il cervelletto. Il nome ci suggerisce che si tratta di un piccolo cervello. La sua struttura, infatti, è costituita da un verme e da due emisferi cerebellari simili a quelli cerebrali. Inoltre si può dire che il cervelletto si occupi di tutte le funzioni del sistema nervoso centrale, anche se ha un ruolo preponderante nel controllo e nell’apprendimento motorio e nel linguaggio. 

Per cervello si intende, invece, una struttura costituita dal diencefalo e dal telencefalo. Il diencefalo si trova sopra al tronco encefalico ed è costituito dal talamo e, a seconda della posizione rispetto al talamo, si distinguono l’ipotalamo, il subtalamo, il metatalamo e l’epitalamo. Ognuna di queste strutture ha un compito ben preciso. Il talamo riceve le informazione sensitive dal midollo spinale e dal tronco encefalico e le trasferisce al telencefalo. Il metatalamo è specializzato nella trasmissione di informazioni visive e uditive al telencefalo. L’ipotalamo regola importanti funzioni del sistema nervoso vegetativo, come la fame, la sete e la temperatura corporea. Il subtalamo è interposto nei circuiti della generazione del movimento. L’epitalamo, infine, s’identifica con l’epifisi: una ghiandola endocrina che produce melatonina,  che ha un ruolo nella regolazione del ritmo sonno veglia e del tono dell’umore. 

Siamo arrivati, infine, alla parte più evoluta del nostro sistema nervoso centrale: il telencefalo. Esso è suddiviso in due emisferi: destro e sinistro, separati da un profondo solco interemisferico (o sagittale), e connessi dal corpo calloso, un organo commessurale formato da fibre mieliniche associative. La corteccia cerebrale è la parte più esterna ed è caratterizzata da solchi e circonvoluzioni, necessari per aumentare la superficie della corteccia, dato che lo spazio disponibile è limitato dal cranio. La corteccia è suddivisa anatomicamente in cinque lobi: frontale, parietale, temporale, occipitale e il lobo dell’insula, situato più in profondità. Inoltre è presente il lobo limbico, formato da strutture collegate funzionalmente e non sempre anatomicamente. La corteccia è costituita da sostanza grigia, e contiene i corpi dei neuroni che hanno i loro assoni nella sostanza bianca del telencefalo, situata all’interno, che prende il nome di centro semiovale (uno per ogni emisfero). Sono presenti altre voluminose formazioni di sostanza grigia all’interno della sostanza bianca che prendono il nome di nuclei della base, che hanno un ruolo fondamentale nell’elaborazione dello schema motorio. Funzionalmente la corteccia cerebrale è stata suddivisa in cinquantadue aree dall’anatomico Korbinian Brodmann, ognuna delle quali svolge una funzione specifica. Più in generale si può dire che la corteccia presenti aree somestesiche, che ricevono vari tipi di sensibilità, aree motorie, dalle quali originano i vari tipi di movimenti, e aree associative, nelle quali si svolge l’integrazione delle informazioni sensitive ai fini dell’interpretazione del mondo esterno.

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giovedì 5 settembre 2013

Come controlliamo il dolore

Si sa ancora poco a riguardo, ma abbastanza da capire che noi siamo in grado di controllare il nostro dolore. Pensate all’effetto placebo, che può farci sentire meglio solo pensando che ci sia stato somministrato un farmaco. Vi sarà capitato a volte di farvi male e di sentire dolore solo più tardi, oppure avrete notato che non tutti affrontano il dolore allo stesso modo. La percezione del dolore, infatti, può dipendere molto dalle circostanze e dalle emozioni associate. Analizzando il significato evoluzionistico, sentire dolore in condizioni di stress o di emergenza è svantaggioso: l’organismo deve preoccuparsi di sopravvivere, mentre in condizioni di riposo e in sicurezza, il dolore è fondamentale per prevenire ulteriori danni.  

Questo avviene perché esiste un controllo discendente del dolore che parte dal cervello e arriva al midollo spinale, grazie al quale riusciamo a selezionare gli stimoli dolorifici da percepire. Sono state identificate aree del cervello che possono inibire la trasmissione della sensazione dolorifica al livello del midollo spinale. 
Una di queste aree è il bulbo rostroventromediale in cui è presente il nucleo del rafe magno da cui si diparte una via serotoninergica (cioè che rilascia serotonina) che proietta al midollo spinale, inibendo la trasmissione dolorifica. Questa via è soltanto la tappa finale di un sistema che ha inizio in centri superiori. Infatti, il nucleo del rafe magno riceve informazioni dalla sostanza grigia periacqueduttale che a sua volta riceve informazioni dalla corteccia e dal sistema limbico. La corteccia ha un importante ruolo nell’elaborazione del pensiero mentre il sistema limbico è sede dell’emotività, del comportamento oltre che dell’olfatto e altre funzioni. Si potrebbe immaginare quindi di controllare queste strutture al fine di elaborare un’informazione atta a limitare la sensazione di dolore. 

Andando più nel dettaglio, il bulbo rostroventromediale è costituito da diversi neuroni tra cui le cellule on e le cellule off. Le cellule on agiscono attivando la trasmissione dell’impulso dolorifico, mentre le cellule off, se attivate, agiscono all’opposto, cioè inibendo la trasmissione del dolore. Queste due cellule sono bersaglio degli oppioidi, come la morfina, che inibendo l’azione delle cellule on e attivando le cellule off si avrà un’interruzione del segnale del dolore con il risultato di una forte analgesia

Analogamente, una situazione di stress o la somministrazione di un placebo è in grado di attivare i sistemi oppioidi endogeni, con produzione di sostanze molto simili alla morfina che si legano agli stessi recettori, portando all’attivazione del sistema di controllo discendente del dolore. Il risultato sarà una potente analgesia indotta dallo stress o dall’atto della somministrazione di un farmaco. 
A dimostrazione del fatto che le sostanze oppioidi endogene prodotte dal cervello siano fondamentali nell’analgesia, il naloxone, un antagonista di queste molecole, blocca l’effetto analgesico del placebo; mentre farmaci che antagonizzano la colecistochinina (un antioppioide) potenziano gli effetti analgesici del placebo. 

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sabato 31 agosto 2013

Il mistero del sonno

Vi siete mai chiesti perché dormiamo e qual è il meccanismo che si nasconde dietro questa apparentemente semplice ma indispensabile funzione del nostro cervello? Ebbene vediamo passo dopo passo quello che accade durante il sonno.

Il passaggio dallo stato di veglia al sonno è costituito dall’addormentamento, cioè una progressiva disconnessione dall’ambiente esterno. Alla base c’è il ruolo importante svolto dal così detto cancello talamico che, durante il sonno, è come se si chiudesse e bloccasse gli stimoli dal mondo esterno.  Tre sono i fattori che ci inducono a sdraiarci in un posto confortevole, chiudere gli occhi e schiacciare un bel pisolino: il fattore vigilanza, il fattore circadiano e il fattore omeostatico.
Prima di analizzarli a fondo, va premesso che nel nostro cervello sono presenti quattro centri nervosi che regolano il sonno e la veglia: il sistema reticolare attivante, il sistema ipotalamico del sonno, il sistema generatore del sonno REM e l’orologio circadiano soprachiasmatico. Il sistema reticolare attivante è responsabile della veglia, quindi quando è attivo siamo svegli, quando è spento stiamo dormendo. Il sistema ipotalamico del sonno invece agisce al contrario, quindi è attivo quando stiamo dormendo, è invece spento quando siamo svegli. A regolare questi due sistemi interviene l’orologio circadiano che attiva il primo e inibisce il secondo, durante le fasi di luce, mentre durante la notte regola i due sistemi al contrario: inibendo il primo e attivando il secondo. Il sistema generatore del sonno REM ha invece il compito di regolare il ciclo sonno REM-sonno non REM, che vedremo in seguito. 
Detto ciò, possiamo ora capire i tre fattori decisivi per il sonno. Il fattore vigilanza promuove l’attivazione del sistema reticolare attivante e determina quindi lo stato di veglia anche quando si è particolarmente stanchi o in piena notte. Nel fattore vigilanza possiamo includere tutti gli stati d’ansia e di emergenza, ma anche sostanze come caffeina o farmaci che agiscono mantenendo attivato il sistema reticolare. Il fattore circadiano ci assicura invece di preferire il sonno durante le ore notturne dato che l’uomo è fortemente dipendente dalla vista e quindi dalla luce. Questa funzione è svolta dall’orologio circadiano posto nell’area soprachiasmatica dell’ipotalamo. Il fattore omeostatico favorisce il sonno aumentando la necessità ad addormentarsi in relazione al tempo che si è rimasti svegli. Quindi avremo più bisogno di dormire se siamo rimasti svegli per più tempo rispetto al solito. 
Ponendo dunque il caso in cui ci troviamo in un ambiente sicuro, di notte o al buio, senza problemi, senza pensieri e dopo una lunga giornata di lavoro, i tre fattori si troveranno d’accordo ad attivare il sistema ipotalamico del sonno e inibire il sistema reticolare attivante. La soglia di risposta agli stimoli esterni si alza, e cadremo addormentati.

Veniamo al sonno REM. Chi non ne ha mai sentito parlare? Nessuno, immagino. 
Il sonno REM si chiama così per la presenza di movimenti rapidi degli occhi durante questa fase. REM è infatti l’acronimo di Rapid Eye Movement. Nel sonno si alternano fase REM e fase non-REM. La fase non-REM è costituita da 3 stadi. Il primo è uno stadio di transizione dalla veglia al sonno, i movimenti oculari rallentano e il tono muscolare si riduce, spesso un soggetto risvegliato da questa fase è convinto di non essersi addormentato. Nel secondo stadio la soglia per il risveglio è nettamente aumentata e nel terzo stadio si passa al sonno profondo in cui il risveglio è difficile, l’attività onirica è assente, i movimenti oculari sono del tutto assenti, l’attività elettroencefalografica registra onde lente e la pressione arteriosa, la frequenza e la gittata cardiaca diminuiscono notevolmente. Dopo quest’ultima fase si ripassa al secondo stadio per lasciare poi spazio alla fase REM. Questa è anche detta sonno paradossale in quanto il tracciato EEG è simile alla veglia ma la soglia per il risveglio è alta quanto quella del terzo stadio. La fase REM è dominata da movimenti oculari, scosse muscolari rapide, profonda atonia dei muscoli necessari alla stazione eretta e infine da sogni vividi. È questa la fase in cui noi sogniamo. 
Le due fasi del sonno, non-REM e REM, si alternano durante il sonno. Ogni 90-110 minuti si registra mediamente una fase REM. Durante un normale sonno di otto ore si possono dunque avere più di cinque fasi REM e di conseguenza più di cinque sogni, anche se generalmente si ricorda l’ultimo sogno al momento del risveglio, che corrisponde all’ultima fase REM del sonno. 
Il pattern di sonno varia notevolmente durante il corso degli anni con sostanziali modificazioni del tempo delle fasi REM e non-REM durante il sonno.

Abbiamo visto come ci addormentiamo e quali sono le fasi del sonno. Ma perché dormiamo? A questa domanda purtroppo gli scienziati non hanno ancora trovato una risposta definitiva. Si pensa possa avere un ruolo nel consolidamento della memoria e nel recupero cerebrale, ma il perché il sonno abbia un ruolo così importante in tutte le specie animali rimane un mistero.

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giovedì 29 agosto 2013

Gli effetti della nicotina sul cervello

La nicotina. Il principio attivo contenuto nelle foglie di tabacco. Un alcaloide naturale che ha conquistato il mondo attraverso i suoi effetti sul cervello!

Nel nostro organismo sono presenti recettori che si attivano attraverso il legame con l’acetilcolina. Ne esistono due tipi: recettori nicotinici (attivati anche dalla nicotina) e recettori muscarinici (attivati anche dalla muscarina, alcaloide presente nell’Amanita muscaria). 
I recettori nicotinici si trovano sia in periferia, sulla membrana post-sinaptica delle fibre muscolari scheletriche, sia nel sistema nervoso centrale. L’acetilcolina secreta dalle terminazioni assonali del neurone, si lega al recettore presente sulla membrana post-sinaptica inducendo l’apertura di canali cationici con conseguente depolarizzazione della membrana post-sinaptica. Questo si traduce in contrazione muscolare per quanto riguarda i recettori periferici, e in trasmissione dell’impulso nervoso attraverso depolarizzazione, per quanto riguarda i recettori centrali. 
La nicotina assunta con il fumo di sigaretta (non più di 3 mg) non è in grado di attivare i recettori periferici di placca dato che necessitano di concentrazioni maggiori, ma è invece in grado di legarsi ai recettori del sistema nervoso centrale, attivarli o desensitizzarli (inattivarli) dipendentemente dalla dose. Gli effetti della nicotina sono quindi legati alla localizzazione di questi recettori.

Vediamo il percorso della nicotina. Il fumo della sigaretta entra nei polmoni; la nicotina presente in esso raggiunge gli alveoli polmonari ed entra nel circolo sanguigno attraverso la membrana respiratoria. La nicotina in circolo può legarsi al posto dell’acetilcolina, e i due principali sistemi neurali su cui la nicotina ha un effetto rilevante, sono il sistema mesolimbico e quello setto-ippocampale.  
Ruolo cruciale nella dipendenza è il sistema mesolimbico. La nicotina si lega ai recettori presenti sulla membrana pre-sinaptica degli interneuroni che inibiscono la trasmissione di dopamina dall’area del tegmento ventrale (VTA) e li desensitizza. In questo modo viene a mancare l’inibizione dei neuroni che secernono dopamina con conseguente aumento di questo neurotrasmettitore. La dopamina rilasciata in questo circuito stimola la gratificazione e quindi la dipendenza. Il perdurare dell’esposizione alla nicotina aumenta il numero dei recettori al livello degli interneuroni inibitori con la conseguente necessità di aumentare la dose di nicotina per raggiungere lo stesso livello di gratificazione iniziale. Questo accade perché il numero dei recettori attivi è sempre minore e l’interneurone risponde aumentandone di numero. 
Il sistema setto-ippocampale è invece cruciale nell’apprendimento e nella memoria. La nicotina agisce anche a questo livello, essendo il sistema costituito da neuroni colinergici e sfruttando l’azione dei recettori nicotinici. La nicotina non ha solo effetti negativi. Se moderatamente usata è un potente stimolante delle funzioni legate all’apprendimento e alla memoria con effetti benefici sul cervello. La nicotina, infatti, non è la diretta responsabile di patologie legate al fumo di tabacco, ma dà dipendenza. Inoltre è responsabile degli effetti immediati del fumo di sigaretta a causa del rilascio di catecolammine nel sangue, come l’aumento della frequenza cardiaca e della pressione sanguigna. 

La nicotina deve poi essere metabolizzata ed eliminata dall’organismo. La metabolizzazione è effettuata da un enzima della classe del citocromo P450 (Cyp2A6). Questo enzima è altamente polimorfo e la sua attività può variare da persona a persona. Alcuni metabolizzano la nicotina in modo veloce e altri in modo particolarmente lento. A secondo del tipo di enzima che abbiamo, possiamo quindi essere più o meno suscettibili alla dipendenza dalla nicotina. Un metabolizzatore lento avrà più nicotina in circolo per più tempo e non ne avrà bisogno per un tempo maggiore rispetto a un metabolizzatore rapido. 

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mercoledì 28 agosto 2013

Tetano e Botulino...Come agiscono

Sentiamo spesso parlare del Tetano e del Botulino. Ma cosa sono realmente e come agiscono nel nostro organismo? 
Il Clostriudium tetani e il Clostridium botulinum sono due batteri anaerobi e sporigeni che fanno parte della famiglia delle Bacillaceae. La loro capacità di produrre spore consente loro di resistere anche in presenza di ossigeno. Questi due batteri ci preoccupano dal momento che producono due potenti neurotossine capaci di provocare sindromi neurologiche tra loro molto diverse. Vediamo più nel dettaglio dove e come agiscono.

Il C.tetani e le sue spore si trovano nel suolo di tutto il mondo e possono contaminare le ferite. In condizioni di bassa presenza di ossigeno, specialmente in ferite poco ossigenate o coinfettate da germi, le spore ritornano ad essere il batterio da cui hanno avuto origine attraverso un processo chiamato germinazione. Ora il batterio è nuovamente attivo e può sintetizzare la neurotossina che in questo caso è la tetanospasmina. Questa tossina è prodotta come singolo polipeptide ed è attivata da una proteasi endogena attraverso un taglio proteolitico che genera due frammenti: una subunità leggera (catena A) e una subunità pesante (catena B) legate da un ponte disolfuro. La tossina tetanica, una volta all’interno dell’organismo, viene drenata dai vasi linfatici, arriva in circolo e quindi alle fibre nervose. La tossina sceglie di legarsi sulla membrana dei motoneuroni α dato che la catena B ha affinità per il recettore GM2 espresso su questo tipo di neuroni. All’interno del neurone la tossina viene trasportata verso le corna anteriori del midollo spinale attraverso l’uso della dineina e poi per via trans-sinaptica verso gli interneuroni inibitori che hanno il compito di inibire l’azione dei motoneuroni attraverso il rilascio di neurotrasmettitori inibitori. A questo livello agisce la subunità A che ha un’attività zinco-proteasica in grado di attaccare le proteine SNARE necessarie per la liberazione dei neurotrasmettitori. Viene così a mancare l’inibizione dei motoneuroni con il risultato di uno spasmo simultaneo di muscoli agonisti ed antagonisti (paralisi spastica) che porta a rigidità muscolare e convulsioni. Questa condizione è definita come Tetano.  In genere passano dai 4 ai 15 giorni dalla ferita alla comparsa dei primi segni clinici (periodo di incubazione). Il più comune è il Trisma, cioè la contrazione del muscolo massetere, dato che il percorso per raggiungere i centri motori dei muscoli facciali è più breve. Il trisma conferisce la tipica espressione di “Riso Sardonico”. Progressivamente, la contrazione si diffonde ad altri muscoli portando a uno spasmo generalizzato che si manifesta come opistotono, cioè una contrazione esagerata dei muscoli della schiena. La morte sopraggiunge nel 90% dei pazienti non trattati e per la maggior parte dei casi per blocco dei muscoli respiratori.

Molto simile è l’azione del C.botulinum il cui nome deriva dal latino: botulus che vuol dire salsiccia, dato che spesso il botulismo deriva dall’assunzione di cibi contaminati. Questo batterio infatti è comunemente presente nel terreno e nei campioni d’acqua di tutto il mondo. Esistono sette tipi distinte di tossine botuliniche (descritte con lettere dalla A alla G) anche se l’uomo è suscettibile solo ai tipi A B E ed F.  La tossina A è il più potente veleno conosciuto al mondo. Bastano 70µg di tossina per uccidere un uomo di 70kg. È composta, come le altre tossine, da una catena leggera A e una pesante B. L’azione è simile alla tossina tetanica. Le spore germinano in condizioni di anerobiosi, specialmente in conserve alimentari, e producono la tossina.
Con l’ingestione dell’alimento, la tossina entra nell’organismo. La catena pesante B protegge la neurotossina dall’acidità dello stomaco, viene così assorbita nell’intestino e trasportata attraverso il sangue alle terminazioni nervose dove entra e inibisce il rilascio di acetilcolina al livello della giunzione neuromuscolare, senza risalire nel midollo spinale come nel caso del C.tetani.  
L’acetilcolina è un neurotrasmettitore essenziale per la contrazione muscolare. Senza di esso si ha il blocco della contrazione e quindi la così detta paralisi flaccida
Gli effetti della tossina si vedono dopo un paio di giorni dall’assunzione dell’alimento. La debolezza muscolare porta al blocco dei muscoli respiratori e alla morte. 
Per prevenire la malattia, bisogna ostacolare la germinazione delle spore mantenendo il cibo a pH acido o conservando il cibo a 4°C o meno. Per distruggere la tossina è invece consigliato scaldare il cibo per 10 minuti a 100°C. 
La tossina botulinica è utilizzata anche come terapia locale di alcuni disordini come emicrania, asma, acalasia e anche per le rughe di espressione fra le sopracciglia. Attraverso la paralisi flaccida dei muscoli facciali, infatti, si evitano le manifestazioni di rughe, spasmi o tic facciali. 

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Sito internet tradotto da Alba Daza Molina in Inglese e in Spagnolo